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mercoledì 1 aprile 2020

LA FORMA DI DURATA




RUBRICHINA LINGUISTICA


lezione nr. 3

INGLESE E SPAGNOLO





Chi studia l’ Inglese si scontra subito con un registro mentale diverso da quello italiano a cominciare dai vocaboli, ma anche dalla struttura grammaticale e sintattica.

All’ inizio, l’Inglese si presenta facile: niente desinenze verbali, eccettuata la “s” alla terza persona singolare; e i paradigmi con sole tre voci: infinito, passato remoto, participio passato. Evviva!

Nessuna illusione ! Le fregature arrivano presto. 

L’Inglese ha una marea di regole particolari che devono essere applicate nei casi in cui è necessario applicarle. 

Una di queste regole è la famigerata duration form, ovvero uno strano passato prossimo (passato prossimo progressivo o, continuato; in Inglese: present perfect continuous) che, nella lingua di Shakespeare, esprime un’ azione cominciata nel passato e perdurante nel presente.
Studio inglese da dieci anni = I have been studyng English for ten years.
Oppure: I have been studying English since 2010, quando c’è una data d’inizio dell’ azione.

In quanti sanno che questa regola esiste anche nella lingua spagnola? 

In effetti, tale regola non è sempre citata nei testi di grammatica iberica, specie in quelli delle ultime generazioni scolastiche, peraltro, comunque, piuttosto poveri di nozioni, o con queste ridotte all' osso, per dar spazio all' aspetto pratico ed immediato della lingua, attraverso banali dialoghi e molte immagini, con la convinzione di renderla in questo modo più accessibile e leggera agli scolari, di recente, poco vogliosi di impegnarsi nello studio.  

Inoltre, diversamente dell' Inglese, in cui è obbligatorio tradurre questo tipo di tempo in detta maniera, in spagnolo, questo obbligo non è del tutto tassativo. E' anche possibile tradurre la frase studio spagnolo da un anno  alla lettera, cioè: estudio español desde un año.

La differenza fra la forma di durata inglese e quella spagnola risiede solo nella maggior semplicità di esecuzione. 

Studio spagnolo da un anno = Vengo estudiando español un año. In altre parole povere, in spagnolo la forma di durata si esegue coniugando il verbo venir al presente indicativo, a cui seguono il verbo reggente estudiar in gerundio, e il complemento di tempo non preceduto da preposizione se questo è espresso numericamente. 

Se c’ è una data d’inizio azione: studio spagnolo dall’ anno scorso, la preposizione è quella che serve nel caso: vengo estudiando españòl desde el año pasado.

Se si accantona la differenza glottologica, dovuta ai diversi ceppi linguistici a cui i due idiomi appartengono (ceppo anglosassone per l’ Inglese e ceppo latino per lo spagnolo) si scopre che le due lingue: Inglese e Spagnolo hanno molti punti in comune anche nel succitato registro mentale. Entrambi i popoli, infatti, adoperano il passato remoto anche quando l’azione è terminata da pochi minuti.
E’ uscito, ma è già rientrato = (Inglese) He went out; (spagnolo) saliò.




Ripasso della duration  form inglese:

Si applica essenzialmente con i verbi esprimenti un'azione: andare, venire, studiare, lavorare, eccetera....

Studio da ....    I have been studying
Lavoro da ..... I have been working
Vado da ........ I have been going ......
And so on ....

Non è applicabile con i verbi di percezione o verbi esprimenti concetti astratti: sentire, vedere, conoscere, piacere, amare, nel cui caso la frase viene tradotta con il semplice present perfect (passato prossimo).

Sento questo rumore da ....... I have heard of this noise for .......
Conosco John da ......I have known John since ......
And so on.
Sebbene, nella lingua parlata, non sia raro incontrare la duration form anche in questi casi.


Non è applicabile in forma negativa ove, anche qui, si usa il present perfect.
Non vado in chiesa da 10 anni.... I haven't gone to the church for ten years.



E tanto altro ancora nelle prossime puntate.


SIAMO IN QUARANTENA




Premessa: chi leggerà questo mio post avrà l' impressione che io ripeta ciò che ho già scritto in un mio posto precedente, collocato poco più giù, intitolato: SMART WORKING.

Vero, ma solo in parte.
In realtà, dico anche altro.
Se volete leggere ....


Eccoci.
E’ trascorso circa un mese da quando, per decreto del Governo, gli Italiani sono stati letteralmente segregati fra le mura domestiche al fine di contrastare il maledetto Coronavirus che sta mietendo un po’ di vittime in giro per il mondo.

A parte il fatto che altre precedenti epidemie hanno provocato danni e morti maggiori di quella attuale, confermando, se fosse stato necessario, l’ ignoranza dei miei compatrioti in Storia, il punto sta nello spaesamento che gli abitanti dello Stivale stanno vivendo in queste settimane, percepibile, in particolare, nel disagio del non poter quasi uscire di casa se non equipaggiati per affrontare lo sbarco in un pianeta alieno. A ciò si aggiunge l’emersione del peggio di sé fra le mura domestiche a causa della scoperta improvvisa degli altri i quali, fino a qualche giorno fa, erano solo apparizioni fugaci fra un impegno di lavoro e uscite per diletto, recando il minimo sindacale di fastidio. Intendiamoci: non è (stato) cosi per tutti. Anzi!

Alcuni hanno dichiarato, invece, di aver ritrovato amicizie, affetti ed amori, relegati prima a semplici comparse, vaganti in casa come fantasmi. Insomma: come molte sciagure, il Coronavirus non è arrivato solo per nuocere.

Ciò che, al contrario, sta sconcertando gli Italiani è la nuova (per l’Italia) modalità di lavorare in remoto, a distanza, via telematica o come ci piace definirla, che, silenziosamente, tuttavia con decisione, sta dilagando nel Paese. Qualcuno ci si sta abituando con una certa disinvoltura, altri annaspano come se stessero annegando. L’ostacolo più grosso che molti incontrano nel mettere in pratica questo modo di operare risiede nei pagamenti. Versare, o trasferire denaro via web, sembra Mission: impossible. La realtà è che se questo sistema fosse stato introdotto e spalmato con calma nel mondo del lavoro adesso non saremmo nelle condizioni in cui invece ci troviamo. Però, non tutto è andato male, anzi ! In alcuni settori questa modalità è entrata in funzione abbastanza celermente ed ora un certo numero di attività economiche lavorano in remoto con destrezza.

La domanda fatidica è: questa bella e comoda innovazione resisterà, finita l’emergenza pandemia? Torneremo alla vecchia modalità? Il lavoro telematico poneva un dubbio esistenziale nel vero significato del termine ovvero: come lavorare a casa in solitudine, senza il calore di un rapporto umano vis-à-vis, guardandosi negli occhi, conoscendo bene il carattere espansivo degli Italiani?

Ma la comunicazione in rete contempla la chance delle videochiamate che consentono ai due interlocutori di guardarsi, sebbene attraverso un display, spesso piccolo come quello dei telefoni. Tuttavia, qualcuno osserva, non a torto, che non è la stessa cosa del vedersi in faccia. Però, ora, in piena pandemia Coronavirus, questo piacere ci è stato comunque negato per evitare l’espandersi del contagio ergo, che ci lamentiamo a fare? Rassegnamoci per ora, e usiamo questa modalità apprezzando l’ assenza dell’ obbligo di farci belli per mostrarci al nostro prossimo, assenza che però, dati gli strani effetti dell’ immagine virtuale, potrebbe anche provocare guasti irreparabili nelle relazioni con i nostri simili non conosciuti prima dal vivo.

Nel mio precedente pensiero avevo accennato all’ impossibilità oggettiva e concreta di esercitare questo modus operandi in alcuni tipi di lavoro. Se si tolgono i lavori prettamente manuali o di particolari casi di assistenza a persone (non cito la medicina poiché anche questa può essere praticata a distanza), l’intero dipartimento burocratico può essere benissimo trasferito a domicilio con grande beneficio dell’ambiente che viene ripulito dall’ inquinamento provocato dagli intensi movimenti dei mezzi di trasporto piccoli e grandi, nonché dall’ uso massiccio di apparecchi per la termoregolazione della temperatura.

E l’insegnamento? Anche la didattica può essere svolta a distanza. In alcuni Paesi del mondo è già attuata ma, a questo proposito, si riscontra una curiosità: la materia più difficile da insegnare a distanza è proprio l’informatica che sta alla base di questo grande rinnovamento del lavoro, essendo una materia che necessita di molte dimostrazioni visive. Insegnare informatica a distanza non è impossibile, tuttavia l’applicazione della didattica è risultata un filino complessa. Per spiegare come funziona, e come usare un computer, bisogna procedere con continue fotografie delle schermate che illustrano le varie fasi dell’ operazione da eseguire. Non è difficile, ma è un po’ … macchinoso!

Al di là di tutte le implicazioni che il telelavoro porterà , un altro quesito esistenziale aleggia sulle nostre teste, specie quelle italiane: ci sarà ancora lavoro? Le misure anti-espansione di contagio virus hanno costretto molti esercizi a chiudere i battenti per tutto il periodo della “quarantena”, sottraendo ai gestori i già magri incassi entranti prima dell’ epidemia, ma poi? Se la chiusura forzata dei negozi – e di altre attività – dovesse protrarsi per mesi? Non tutti riapriranno, quindi, ai morti per virus si aggiungeranno quelli che forse moriranno per mano propria, svuotati di ogni speranza di poter proseguire con un’esistenza se non altro dignitosa, sostenuta dal minimo che permetta di vivere. E questi ultimi non saranno meno di coloro che lasciano, hanno lasciato e lasceranno questo mondo, colpiti dal Coronavirus. Il Governo ha promesso misure per contrastare la povertà.
Vedremo.
Speriamo.
Alla prossima.