3o caso di ipocrisia.
Ritorno
sul tema lavoro, ma è inutile che ripeta le stesse cose. Conosciamo tutti la
situazione in Italia su questo campo, tuttavia, il mio ritorno sull'argomento è
motivato dal desiderio - o dalla disperazione - di alcuni, espressi più o meno
in tutto il nostro territorio, ma soprattutto dal centro in giù, di lasciare
l'Italia per cercar fortuna altrove.
Che
dire?
Visto
l'andazzo è comprensibile, ma chi manifesta questa intenzione non creda che,
varcato il confine, entri in Paradiso.
Primo
assunto: in alcuni Stati dell'Europa, e del mondo, trovare occupazione è forse
più facile, le paghe sono più alte, anche di molto, rispetto a quelle elargite
in Italia, ma il costo della vita è proporzionalmente più elevato di quello che
si sostiene nel nostro Paese (vedere Paesi del Nord Europa dalla Gran Bretagna
in su, ma anche in Svizzera non si scherza!). Per contro, negli Stati dove il
costo della vita è ragionevole (Spagna e Grecia) il lavoro non si trova e la
situazione è peggiore di quella Italiana.
Ultimamente
la Spagna ha registrato un 40% di disoccupazione a tutti i livelli e per tutte
le età; la Grecia non è neppure da prendere in considerazione.
Secondo
assunto: all'estero non siamo molto amati proprio nei Paesi dove un italiano
potrebbe trovare qualcosa di buono, e questo, purtroppo, a causa di alcune
"mele marce" che in passato, non avendo mostrato molta volontà nel
lavorare, hanno gettato fango sulla "razza" permettendo ai popoli
ospiti di etichettarci come scansa-fatiche.
Le
uniche categorie italiane di lavoratori,
apparentemente ben accette all'estero, sono quella dei ricercatori,
accolti ovunque con onore e soldi; e quella dedita al servizio di ristorazione,
in parole povere, quella costituita da chi apre ristoranti nei quali si propone
l'ottima cucina italica che conquista e mette d'accordo tutti. Le altre
categorie soffrono, a meno che i componenti non possano esibire titoli di
studio e qualifiche molto alte, e molto competitive, in grado di sbaragliare la
concorrenza, spesso formata da elementi che hanno terminato brillantemente la
loro carriera scolastica e universitaria presso prestigiosi istituti, raccolti
nel Regno Unito, in Francia, e nell'America del Nord. I "normo-dotati", ossia coloro che
vantano curricula culturali normali, che non ricercano, o che non servono
vivande succulente, sono destinati, quando va bene, a servire le vivande sopra
citate ai tavoli di bar, pizzerie, pub e ristoranti, magari aperti e gestiti da connazionali.
I
nostri emigranti prendono di più rispetto ai loro simili che servono in
Italia? Forse. Anzi, senza dubbio, ma poi, quando vanno a far la spesa, trovano
che una mela costa due euro oppure, se devono spostarsi con i mezzi per recarsi
al lavoro, scoprono che il tragitto per il quale, su un mezzo, in Italia pagano
circa 10 euro, nello Stato ospite costa 40 euro o, addirittura 45 sterline.
Risultato: alla fine del mese non ci arrivano ugualmente. Vale dunque davvero
la pena mollare baracca e burattini nel nostro scalcinato Paese per andare a
far sacrifici in suolo estero? Ben inteso che qualcuno ha avuto una buona
sorte, rimediando un posto di lavoro in un comunissimo ufficio, ma non sono
tanti quanti si vuole far credere. Inoltre, anche all'estero, in alcuni Stati,
nel mondo del lavoro ci sono limiti di età per entrarci. Dunque, meglio
diradare subito il denso fumo che spesso ci viene sparato negli occhi per
nascondere una realtà che invece dovrebbe essere rivelata, e cominciare, invece,
a pensare seriamente ad operare cambiamenti definiti qui, nella nostra terra.
Molti sospirano lamentandone l'impossibilità per un immobilismo atavico e
radicato, prodotto di un malgoverno almeno cinquantennale, ma se andiamo avanti
in questo modo, l'Italia si svuoterà dei suoi abitanti per riempirsi di
Indiani, Pakistani, Siriani, Magrebini, Romeni, Bulgari, Russi, Cinesi e altri,
perdendo del tutto la propria identità e trasformandosi in una sorta di immensa
megalopoli cosmopolita degna di un film di fantascienza catastrofista. Per cosa
poi?
A
questo punto qualcuno potrebbe chiedermi se io ho la "ricetta del
secolo" o comunque una ricetta per ovviare all'inconveniente di dover
lasciare il suolo natio per sbarcare meglio il lunario. No, ma mi domando, per
esempio, perché mai in Italia stenta a decollare la possibilità di lavorare non
all'estero, ma con l'estero, comodamente seduti su una sedia nel nostro
salotto, nel nostro studio (per chi lo ha), o nella nostra stanza, davanti ad
un computer o a un tablet. In altri Paesi del mondo il lavoro a distanza è una
realtà da decenni, in Italia lo si guarda in cagnesco, diffidenti.
E'
vero che non tutti i mestieri possono essere svolti premendo il tasto ENTER, ma quelli di natura
"burocratica" si, quindi, perché, intanto non cominciare da questi
ultimi? Sfortunatamente però, gli Italiani, si sa, - in
genere - sono allergici alle innovazioni, salvo poi lamentarsi di doversene
andare per mancanza di alternative valide.
E
in ogni caso, chi decide di cercare il suo futuro fuori dai confini italiani,
pur essendo comunque meritevole di rispetto per la scelta, non creda di essere
la quintessenza del coraggio. In questo momento è più difficile rimanere qui, a
casa, ma provare a cambiare il futuro delle nostre generazioni per evitar loro
di dover espatriare per vivere.
Infine,
chi sono gli alieni? Sono quelli che restano. Sono quelli che non vogliono
andar via. Sono quelli che non si adattano passivamente alla crisi o ad una
situazione comunque negativa; sono invece quelli che silenziosamente, ma
inesorabilmente, con tranquilla, tuttavia inarrestabile tenacia, costringono la crisi ed il mondo ad adattarsi alla loro volontà. Sono quelli che, forse, ci salveranno.
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