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domenica 3 novembre 2013

Possiamo dire realmente quello che ci passa per la testa?




Uno dei fondamentali articoli della Costituzione ci garantisce libertà di parola, pensiero e associazione.
Fermiamoci alla libertà di parola e pensiero. Esiste davvero? 
Sulla carta, effettivamente si.
Dopo la proclamazione della repubblica e della democrazia, in Italia nessuno - almeno in via ufficiale - è più finito dietro le sbarre per essersi espresso liberamente, - a parte qualcuno che lo ha fatto riferendosi a qualcun altro, chiamandolo col suo vero nome ed esternando pubblicamente ciò che pensava di lui o di lei, commettendo in questo modo quel che viene definito reato di diffamazione, ma questo è un altro discorso; - in realtà le cose sono un pò diverse.
Alt! Un momento! Tranquilli! Non sto dicendo che questa garanzia abbia cessato di esistere per decreto, ma più semplicemente che nella vita pratica non sempre si può dar libero sfogo ai propri pensieri anche quando questi possono ritenersi giusti e coincidenti con la realtà di certi fatti, e questo non avviene per legge bensì per...buona creanza. Ed è proprio l'ultima che ci rovina.
Ditemi un pò, signori/e: in questi ultimi tempi, guardandoci in giro, non notiamo un vertiginoso aumento della suscettibilità del nostro prossimo? Non ci troviamo spesso a preferire di rimanere in silenzio piuttosto che esprimere un'opinione o un giudizio anche quando questo non è totalmente negativo? Una risposta è si in quanto ormai siamo terrorizzati all'idea di ferire i sentimenti altrui; l'altra è no e la verità è diversa. Abbiamo paura di perdere le relazioni umane. Abbiamo paura di non essere ricambiati all'occorrenza; abbiamo paura di rimanere soli e non vogliamo ammetterlo. E così mentiamo, primi fra tutti a noi stessi, soffocando il nostro istinto e soffocando la nostra vera identità la quale, se potesse uscire come mamma l' ha fatta, avrebbe la forza dirompente di un vulcano più distruttivo del Krakatoa che due secoli fa demolì un intero arcipelago. Ma non possiamo dire sempre tutto ciò che pensiamo realmente in nome del quieto vivere, dei rapporti col prossimo, della pace e dell'ipocrisia, unico vero ruler del mondo, che ci strappa sorrisi a forza costringendoci a mandar giù rospi della dimensione di un T-Rex e a negare l'evidenza di fatti e situazioni chiari come il sole.

L'elenco dei casi in cui l'ipocrisia è vincitrice assoluta è molto lungo e difficile da srotolare, ma non impossibile da citare. 
Al prossimo post, forse. 
Vi tengo sulle spine. ;)

martedì 17 settembre 2013

Alieni credenti e fedeli


Mi colpì un caso di qualche anno fa.
Una donna aspettava il quarto figlio ma, ad inizio gravidanza, le venne diagnosticato un cancro, curabile tuttavia previo ciclo di chemioterapia che però avrebbe potuto recare danni al feto. Avendo già tre figli, gli stessi medici le consigliarono di pensare più a lei e curare il suo male. Anche il marito la pregò di seguire la terapia poiché la sua eventuale morte lo avrebbe lasciato solo con tre bambini,  ma lei no. Scelse di non curarsi e portare avanti la gravidanza, oltretutto con sofferenze indicibili. Dio e la Chiesa comandano di preferire la vita ad ogni costo. Secondo lei. Risultato: muore, lasciando il marito, disperato, distrutto dal dolore, ad accudire gli altri tre figli.
Devo andare avanti? 
Per carità! Ognuno è libero di credere in ciò che desidera, in ciò che lo fa star meglio, con il grado di intensità voluto, ed è vero che la religione incita a difendere la vita sopra ogni cosa, ma penso che si verifichino dei casi in cui sarebbe meglio riflettere sulle proprie decisioni. Indubbiamente la fede può essere essa stessa un farmaco che, se proprio non guarisce, di sicuro coadiuva un'eventuale terapia medica oltre a recare un benessere psico-fisico comprovato, ma può anche ottundere la mente al punto di non permettere di valutare con la dovuta correttezza e obiettività la situazione in cui ci si trova. E i fedeli integralisti, ostinandosi a rispettare comandamenti e precetti alla lettera arrivando a negare l'evidenza, possono, in effetti, passare per creature non di questo mondo.

giovedì 5 settembre 2013

Piccoli mondi diversi

Carmelo Randazzo, olio su tela

Andrea non vede. Un glaucoma gli ha spento per sempre la luce cancellandogli davanti agli occhi colori e forme, ma quando canta regala emozioni a non finire.
Nemmeno Alberto vedeva (uso l'imperfetto perché Alberto non è più fra noi), ma dopo pochi minuti di colloquio con lui, egli riusciva a descrivere fisicamente la persona come se la vedesse. Il suo segreto? Diceva che si basava sulla voce. Forse chiedeva prima a qualcuno di descrivergli la persona, ma che importa? Raggiungeva lo scopo con l'astuzia e impressionava i suoi interlocutori.
Il fine giustifica i mezzi.
Carmelo non sente rumori e suoni del mondo, ma li immagina, li trasferisce e li cristallizza nelle sue tele sotto forma di animali, le creature che preferisce e che, silenziosamente, ci chiede di rispettare.
Si dice che Niccolò non parlasse, ma per lui parlava il suo violino da cui sono scaturite note immortali.
Un altro Andrea, più giovane del primo, per motivi misteriosi, un giorno ha chiuso la porta al mondo e vive nel suo che si è creato a "sua" immagine e somiglianza nella sua testa , nel quale avvengono le cose che lui ama e che non troverebbe mai nel mondo reale.
Mario (un nome di fantasia), nella sua vita, ha subìto gravissimi torti da un familiare e trascorre la sua vita nella spasmodica ma metodica ricerca di un essere simile per scaricare su di lui/lei la voglia di rivalsa e di vendetta, cancellandolo/la dalla faccia della Terra con criterio sistematicamente efferato.
Marco è stato abbandonato dalla moglie, dalla fidanzata o dalla sua ragazza e non accetta questa situazione, decidendo che chi lo sta facendo soffrire deve pagare a caro prezzo il male che fa.
E via elencando fra le varie patologie che possono colpire un essere umano rendendolo ... differente!
Cos' hanno queste persone in comune?
Non sono come noi, come me, o come voi che leggete.
Il loro essere al mondo è stato disturbato da una causa, o da un evento, che ha scombinato la loro vita e li ha resi diversi da noi. Sarebbe più esatto e corretto dire che noi li vediamo diversi, ma non dobbiamo essere troppo ipocriti poiché in effetti lo sono, tuttavia non sempre con accezione negativa del termine.
Necessità fa virtù, dice un adagio e queste persone lo hanno preso in parola costruendosi attorno a loro un mondo a misura delle loro esigenze giacché per cause di forza maggiore non possono adattarsi completamente al mondo costruito per i normali, ma alcune di quelle persone hanno svolto un buon lavoro e non hanno chiuso il cancello del loro microcosmo, lasciandolo strategicamente aperto in modo da invitare noi ad entrare nel loro piccolo universo che scopriamo trovarsi in un'altra dimensione, forse più elevata della nostra.
Uomini e donne che per vari motivi, con acida gentilezza, vengono definiti "diversamente"abili, spesso viaggiano ad alte sfere su binari sorretti da un cuscino di alta sensibilità che spesso consente loro di superare confini difficili da superare per i normali.
Chi è avvolto nel suo mondo buio sente suoni e percepisce odori più di chi vive nella luce; chi è calato nel silenzio vede al di là dello specchio che riflette la sua immagine e non è detto che anche al di là non ci siano suoni e bellissime melodie; chi si è chiuso ermeticamente nel suo favoloso maniero mentale entra nel caleidoscopio frenetico del suo cervello che va a mille, e della sua inarrestabile fantasia che sfonda tutti i muri.
E tuffandoci nell'universo della carta stampata e poi della celluloide, andando a ripescare nella narrativa del mistero e dell'indagine, si scopre che lo psicologo - e psichiatra - più bravo è in grado di stanare un serial killer che rapisce e uccide donne sentendosi ogni giorno che passa più simile a loro, proprio grazie alla sua sensibilità e capacità di entrare nella mente dell'assassino e nel suo mondo di alienato; grazie al suo essere spietato assassino egli stesso.
Ognuno di noi, prima di nascere, è immerso in un liquido che ci protegge e ci isola dall'esterno finché non veniamo brutalmente spinti nella realtà in cui dovremo vivere da quel momento in poi e, bene o male, da allora, lo facciamo ricostruendoci in maniera più rozza quel bozzolo di difesa in cui conserviamo ciò che ci è utile per mantenere intatta il più possibile la nostra vera identità dall'omogeneizzazione che ci viene imposta nella vita globalizzata.
Ma tra tutti questi microcosmi individuali, anche quelli un pò particolari di chi non è in tutto e per tutto come noi, dovrebbe esserci più comprensione e comunicazione.
Perché più o meno, nel bene o nel male, in fondo, tutti siamo un pò alieni.

domenica 1 settembre 2013

Alieni talentuosi e...più o meno silenziosi



I ricordi si perdono nel tempo, tuttavia non si sono offuscati del tutto tanto da cancellare alcune vecchie buone abitudini. E certi alieni si distinguono proprio per queste ultime: educazione e discrezione.
Ma cominciamo dall'inizio e andiamo per ordine.
Sappiamo che alcuni terrestri sono dotati di talenti, (il che li tramuta in alieni per il non eccessivo numero delle loro presenze sul pianeta. Quelli veri!): per la musica, pittura, scrittura e altre specialità morali, e li usano per diletto, ma alcuni anche per procurarsi introiti economici che consentono loro di poter vivere, talvolta senza troppi sacrifici. E c'è qualcuno che ci riesce poiché, evidentemente, il suo talento è così marcato e visibile da suscitare interesse e curiosità presso gli altri, soprattutto chi potrebbe fornire a questi alieni fortunati l'opportunità di trasformare il talento in guadagno. Ora, di solito i "geni" in qualunque disciplina hanno la prerogativa di essere un pò schivi e di non amare troppo essere sbattuti alla ribalta, sotto i riflettori dello show business. Almeno una volta! Qualche tempo fa!
Adesso chi dipinge quadri, chi scrive romanzi o saggi, chi compone musica, chiunque sia consapevole di possedere un talento - spesso per sentito dire da coloro che si sperticano in lodi con secondi fini, - supportato dai vari mass media che, senza dubbio, si dimostrano alleati preziosi, sbatte in prima pagina il frutto del suo talento proponendolo e riproponendolo finché non vede gli utenti dei mass media affannarsi a cercarlo per non sentire più lo strombazzamento dell'oggetto in questione. In altre parole povere, si serve della grancassa pubblicitaria per diffondere il suo verbo, la sua tela, le sue note e spreme il servizio fino all'osso per far conoscere a tutti il risultato della sua fatica.
Giusto. Ma occhio a non esagerare.
Torno ai ricordi.
Anni fa, - 30? - in giro per le strade d'Italia (io lo vidi a Roma), un giorno cominciarono a comparire dei cartelloni con una specie di stemma che riproduceva l'immagine stilizzata di un drago sorridente. Lo guardai e mi chiesi cosa significasse.
I cartelloni rimasero sulle strade per circa un anno fino ad una sera in cui, su quello che all'epoca si chiamava primo canale della Rai, non partì il trailer di uno sceneggiato che sarebbe andato in onda di lì a poche settimane. Lo sceneggiato era il Marco Polo e la Dragonda era, appunto, la "sirena" che per mesi aveva fatto impazzire gli Italiani i quali, come me, si erano chiesti cosa fosse e a cosa fosse riferito.
Ecco! Il bello del mistero, della suspense, dell'intrigante messaggio in "codice" per annunciare un evento che racchiude in sé il lavoro di un manipolo di persone indubbiamente talentuose le quali hanno saputo ricreare e raccontarci una storia per immagini.
Tutto ciò che ho detto finora, forse non c'entra molto con l'educazione e la discrezione, ma il proporre il proprio pensiero e la propria esistenza con tutto ciò che si è capaci di fare, avvicinando il prossimo stuzzicando la sua curiosità, secondo me è il massimo della classe che un essere umano possa esibire.
A buon intenditor,  il silenzio!!

domenica 18 agosto 2013

Alieni nel mondo del lavoro




Roberto, 52 anni, e Maria, 50 anni, due figli che vanno ancora a scuola, hanno perso entrambi il loro lavoro e sono preoccupati per il futuro. Hanno ragione perché a questa età è difficile trovare un altro lavoro. Anzi! E' impossibile! Per motivi che travalicano la nostra immaginazione e comprensione, la loro connotazione anagrafica si rivela un ostacolo insormontabile, eppure Roberto è un esperto informatico e Maria è un'abile e competente analista contabile, ma sembra che questo loro requisito scivoli come acqua che scorre su vetro: non produce alcun effetto sui datori di lavoro ai quali i due si rivolgono nella penosa via crucis che compiono per trovare una nuova occupazione che garantisca il prosieguo delle loro vite.
Niente. Nessuna risposta che abbia un senso. Solo rifiuti e porte sbattute in faccia senza spiegazioni logiche. Semplicemente, non hanno più l'età per lavorare.
Ma pensando ai loro ragazzi, Roberto e Maria non si scoraggiano, si rimboccano le maniche e cominciano a creare locandine e bigliettini da attaccare ovunque, in cui scrivono a caratteri cubitali la loro disponibilità a svolgere qualunque mansione, anche la più umile e umiliante, pur di racimolare un introito per affrontare le spese di casa e della scuola dei figli. Internet fornisce un ulteriore viatico alla diffusione della loro disponibilità. Tuttavia anche nella loro disposizione d'animo a scendere ai minimi livelli, i due incontrano ostacoli assurdi, soprattutto Maria. La nostra intrepida mamma si offre come baby sitter ma è "troppo vecchia"; le baby sitters devono essere giovani, preferibilmente sotto i 25 anni; si offre come badante per assistere persone anziane e malate, ma è italiana e le badanti richieste sono per lo più straniere, meglio se filippine o peruviane più servizievoli e meno esose economicamente. Si offre per le pulizie negli appartamenti, ma la scusa del diniego è la stessa avanzata per la posizione sopra citata. Oltre a queste motivazioni se ne aggiunge un'altra, la più spettacolare: Maria non ha referenze, ovvero: nessuno può testimoniare la sua professionalità in questi mestieri. Infatti Maria è stata, fino a qualche tempo prima, una brava contabile e non ha mai pulito appartamenti se non il suo; non ha mai accudito bambini se non i suoi figli, e non ha mai assistito persone anziane poiché, grazie al Cielo, ha ancora i genitori vivi e vegeti oppure sono morti di morte naturale nel loro letto, e nessuno, se non Roberto, può dimostrare che Maria è brava a pulire pavimenti, accudire minori o diversamente giovani acciaccati. In altre semplici parole, nessuno può affermare e confermare che Maria è affidabile in quanto non ci sono prove pratiche che lo dimostrino. Roberto non trova lavoro solo per questioni anagrafiche e forse per le stesse ragioni addotte per Maria.
A questo punto ai due viene consigliato di rivolgersi ai Servizi Sociali del Comune di residenza per ottenere uno dei famosi lavori "socialmente utili" oppure un contributo economico per tirare avanti, ma solo uno dei due ne ha diritto. Al mattino presto, Roberto si reca sul posto presso l'ufficio di competenza, si mette in fila insieme con altri sventurati fra cui molti extracomunitari e, dopo parecchi minuti, riceve da un impiegato un numero che corrisponde al suo turno di chiamata.

Ad aspettare in una saletta in fondo ad un corridoio, con lui c'è anche una donna di colore con un bambino piccolo in braccio e due bambini più grandicelli che giocano a rincorrersi per il corridoio, ridendo e strillando. Roberto viene poi ricevuto da un'impiegata che, alle dieci e mezzo della mattina, è già stravolta dal solo fatto di dover lavorare (ma è stata assunta al Comune per conoscenze) e da tre ore di spiegazioni e discussioni, spesso sfociate in litigi, la quale lo invita a riempire un modulo con i suoi dati personali e a produrre alcuni documenti aggiuntivi che servono per giustificare la richiesta del sussidio, il quale ammonta alla cifra stratosferica di euro cinquecento e rotti per un anno, eventualmente incrementabili con bugie su infermità varie, come a dire che quei soldi devono bastare per vivere 365 giorni in quattro. Ci sarebbe la più vantaggiosa soluzione del contributo continuativo di 400 euro al mese, ma per averlo non si deve possedere una casa. Bisogna risultare senza fissa dimora. Roberto e Maria devono accontentarsi e continuare a cercare un'occupazione per non morire di fame e non far patire la fame ai loro ragazzi, ma a 50 anni, almeno in Italia, è un'utopia.

Però si continua a parlare di disoccupazione giovanile e anche qui si riscontrano paradossi da fantascienza demenziale. 

"azienda a livello nazionale cerca giovane da inserire nel proprio organico, max 25 anni con 5 di esperienza pregressa".

In cosa poi? Perché non viene detto chiaramente? 
E' uno dei tanti annunci di offerta di lavoro che s'incontra sui giornali o su Internet, nei siti collegati alle agenzie di collocamento. Tutti i datori di lavoro chiedono esperienza nel proprio settore ma chi cerca lavoro lo fa per accumulare esperienza e poter lavorare dopo, però se non si ha esperienza non si lavora da nessuna parte e anche qui si viene a creare l'odiosa e reiterata situazione del cane che si morde la coda e del circolo vizioso senza via d'uscita.
Spesso, a 25 anni ancora si passa buona parte della giornata sui libri per terminare gli studi universitari che sembra non finiscano mai e, se si riesce anche a lavorare, la tipologia di occupazione raramente è molto impegnativa proprio per non rubare troppo tempo allo studio. Per guadagnare qualche euro, Claudio/a accetta di preparare, servire e consegnare pizze, lavorare in un bar, distribuire volantini in giro per la città, tenere buoni un paio di pargoli per qualche ora o, comunque, svolgere un'attività che fornisce si un'esperienza, ma non certo per coprire la posizione di Account Manager, Sales Manager o altre professioni che in Inglese suonano come chissà quale alto incarico dirigenziale per il quale occorre già una laurea e qualche altro annetto di età sul groppone.
Oltre che nel mondo della scuola, non credo ci sia altro luogo, come quello del lavoro, dove si possa trovare una comunità di alieni così cospicua che dà l'impressione di non conoscere - o forse è meglio dire non voler conoscere - e riconoscere la realtà del proprio Paese. Vivono veramente in un'altra dimensione che non ha niente in comune con il macrocosmo di chi deve vivere giorno per giorno sulla Terra e vorrebbe farlo, non dico nel modo ideale, ma nel meno peggior modo possibile. Ma il microcosmo degli alieni è quello degli eletti, di chi ha le spalle coperte e la strada lastricata d'oro; di chi non conosce e non ha mai saputo cosa voglia dire cercare un lavoro. Questi sono gli alieni "cattivi", si conoscono e si riconoscono perché si vedono spesso in tv. Purtroppo!

giovedì 8 agosto 2013

Alieni a scuola, parte 2a

Dicevo...
In questi ultimi anni, i governi che si sono succeduti a Montecitorio, attraverso gli svariati ministri della Pubblica Istruzione eletti, hanno messo le mani sulla scuola partorendo riforme che, apparentemente contenevano elementi innovativi ma che, invece, in realtà, andavano a toccare solo l'impalcatura esteriore dell'istituzione senza penetrare nel cuore della struttura viva di questo fondamentale pilastro della società.
E' chiaro che non è facile rivoluzionare un sistema esistente e operante da decenni in un certo modo, ma non si pretende neppure di rivoltarlo come un pedalino dall'oggi al domani, tenendo conto anche della parte concreta e tangibile della struttura, ovvero: gli edifici scolastici. Però, per qualche misterioso motivo, la scuola resta lontana dal mondo reale e chi la popola, ma soprattutto chi dovrebbe amministrarla, dimostra ogni giorno la sua condizione di "alieno".
E' stato introdotto uno studio più approfondito e impegnativo delle lingue straniere, aggiungendo all'Inglese, ormai seconda lingua madre, un secondo idioma e questo va bene, nonostante per qualcuno anche l'Italiano sia ancora una lingua straniera; è stato maggiormente diffuso l'apprendimento dell'informatica, e anche questo va bene, ma cosa ancora non va? Perché i ragazzi vanno a scuola malvolentieri e spesso si vedono seduti si dietro i banchi, ma a smanettare con i cellulari di ultima generazione, mostrando pochissimo interesse a quel che i professori tentano affannosamente di spiegare? I ragazzi sono cambiati? Forse. Anzi! Senza dubbio.
Aboliamo le vecchie materie "classiche" come storia e geografia? Direi proprio di no. Servono. Eccome se servono! Cambiamo i programmi? Ma l'Asia, l'Europa e l'America non si sono spostate. Sono sempre al loro posto. Il Po attraversa la Pianura Padana e il Tevere scorre in mezzo a Roma da millenni. Sono dati di fatto assolutamente inamovibili, qualunque ministro venga nominato alla Pubblica Istruzione. Il discorso cambia un pò per la Storia. La Storia potrebbe essere rimaneggiata, riveduta, corretta, "aggiornata" ai risultati delle ultime ricerche effettuate dagli specialisti i quali hanno scoperto che alcuni eventi non si sono svolti alla lettera come ci sono stati raccontati finora. Ma attenzione poiché certi argomenti, certe verità, non possono essere toccati! Ecco. Devo aver appena premuto su un punto dolente. Si parla di rinnovamento, ma questo, spesso, va a cozzare contro "tradizioni" secolari care a certi personaggi che non vogliono sentir parlare di cambiarle.
Il latino e il greco servono o non servono? Certo che servono! Ma basterebbe semplicemente che qualcuno - se lo sa - spiegasse che queste due antiche lingue sono la base delle lingue moderne. Molti vocaboli greci sono l'origine di vocaboli italiani e alcune regole dell'analisi del periodo latina si incontrano nelle analisi del periodo inglese e tedesca, addirittura russa, che non sono lingue di ceppo neolatino.
Si parla tanto di interattività e di interdisciplinarità e le occasioni per metterle in pratica, rendendo le lezioni interessanti con l'utilizzo dell'informatica, sarebbero tantissime, ma qualcosa trattiene dal compiere questi passi che non implicano essere geni, ma avere solo un pò di creatività e coraggio. Si chiede troppo, vero?
E allora non lamentiamoci se la scuola si presenta con l'aspetto di una vecchia astronave arrugginita, scesa sulla Terra tanti anni fa, con il suo equipaggio perennemente riunito nella sala di comando a passare il tempo prendendo decisioni su quanti alunni sia meglio riunire in una classe considerando purtroppo che non ci sono fondi sufficienti per costruire, se non addirittura ristrutturare, gli edifici; di quante ore dev'essere composto un orario scolastico e, last but not least, ultimissima novità: a cominciare da quale classe gli alunni dovranno affrontare le famose, famigerate prove INVALSI che, ragazzi miei, sono veramente toste !!
Ecco! A questo proposito, invito l'equipaggio sgangherato dell'astronave scuola (mi riferisco ovviamente alle alte sfere) a scendere sul suolo terrestre e a farsi carico sul serio di questo impegno onde evitare figure barbine di profonda ignoranza che abbiamo già rimediato.














domenica 4 agosto 2013

Alieni a scuola



Questo post vuole essere, in un certo modo, una mia risposta ideale al post della mia cara amica Angela la quale, nel suo blog, ha parlato di riforma scolastica versione 2013 che vedrebbe l'introduzione di nuove materie rientranti nell'ambito umano-sociale (educazione al sentimento, al rispetto del prossimo, animali...)
Ottime idee, ma la vera riforma sta altrove. Perché il titolo di questo post è "Alieni a scuola"? Perché è proprio nella scuola che si avverte maggiormente la presenza di esseri completamente fuori dal mondo, i quali non hanno la minima idea di come questa istituzione dovrebbe essere rinnovata dalle fondamenta a cominciare dalle elementari per finire all'università.
A questo proposito racconto un aneddoto che riguarda un episodio divertente riferitomi da un giovane conosciuto anni fa. Il giovane in questione era uno studente niente meno del prestigioso Istituto Enrico Fermi, prossimo (allora) perito elettronico, che venne da me per una raddrizzata in inglese, materia con la quale non andava molto d'accordo (sono in molti ad avere rapporti conflittuali di amore/odio con questa lingua che sembra facile, ma non lo è per niente). Il ragazzo mi parlò della sua insegnante d'inglese la quale, nominata di fresco alla cattedra dell'istituto per impartire le nozioni della lingua agli studenti, confessò candidamente, ma con in mano una tazzina piena di cenere da cospargersi sul capo, che lei aveva frequentato il Liceo Classico, - dunque, per cinque anni aveva studiato greco, latino e filosofia, lasciando per giunta l'Inglese al 5o ginnasio - si era poi iscritta alla Facoltà di Lingue e Letterature Moderne alla Sapienza, continuando a studiare letteratura Italiana, Latina, Inglese, Francese e non so di quale altra lingua, aveva conseguito brillantemente la laurea, aveva sostenuto gli esami di abilitazione per entrare nell'insegnamento, ma non aveva mai visto un computer nella sua vita e tanto meno conosceva l'Inglese informatico/elettronico (una lingua a sé con vocabolario dedicato) che avrebbe dovuto insegnare a studenti, addirittura del triennio di periti elettronici.
La gentile signora strinse un patto con gli studenti: lei avrebbe insegnato loro inglese, e gli studenti le avrebbero fornito nozioni di elettronica/informatica. 
Devo andare avanti?
Questo episodio risale ad una ventina di anni fa; ora alcune cose sono cambiate, per fortuna, ma non tutte. L'uso dei mezzi informatici si è diffuso abbastanza e oggi anche un filosofo è in grado di digitare i suoi pensieri sulla tastiera del suo notebook o, addirittura del suo tablet e condividerli con il resto del mondo, tuttavia, il progresso raggiunto nel campo informatico è quasi esclusivo merito proprio degli utenti di tali strumenti che, spinti da entusiasmo e necessità, hanno imparato ad adoperarli da soli o frequentando corsi privati, spesso piuttosto costosi. Non è da molto che la scuola ha introdotto l'apprendimento dell'utilizzo del computer, ma il punto non è neanche questo.  Continuo a chiedermi, nonostante tutto, perché la scuola sembri sempre tanto lontana dal mondo circostante. E' vero che, purtroppo, ad essa sono riservate le briciole di varie finanziarie costantemente in rosso - assieme alla sanità - ma non è soltanto una questione di soldi.
Continua......