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sabato 23 novembre 2024

NON LASCIAMOCI INGANNARE DALLE APPARENZE!




INTELLIGENZA ARTIFICIALE cap II, la vendetta


Vendetta di chi? Dell’ intelligenza. Contro chi? Contro cosa! Contro l’ uomo e la sua stupidità. 


L’ intelligenza artificiale è una sòla, una mezza fregatura. Perché? Con l’ IA puoi fare molto, puoi fare tutto, ma devi “addestrare la pupa” ovvero, spiegarle cosa vuoi fare e come dev’ essere fatto secondo le tue intenzioni e progetto, il che, non di rado,  si traduce in una lunga sequenza d’ istruzioni da impartire alla macchina prima di ottenere il risultato voluto. 


Insomma, cerchiamo di toglierci subito il velo illusorio dagli occhi, gettatoci dagli entusiasti della novità, e guardiamo ciò che c’ è da guardare con attenzione.


L’ IA è utile, ma a tempi lunghi. Ci si deve armare di pazienza e istruire il software per eseguire un’ operazione che, forse, eseguita a mano avrebbe tempi più veloci. Probabilmente l’ IA troverà un utilizzo maggiore e più mirato nelle situazioni complesse, a vasta scala, in cui occorre effettuare più operazioni complicate nello stesso momento, e dove, di sicuro, dimostrerà di poter dare un valido aiuto, ma ciò comporterà un lungo rodaggio.


L’IA cancellerà molte professioni di natura culturale: scrittura, traduzioni, anche arte, ma sta nascendo un nuovo mestiere: l’ istruttore di IA, cioè la persona che addestra il software ad eseguire tutto l’ eseguibile in suo potere, prova ulteriore questa, dei limiti che l’ IA mostra. Detto così appare semplice, in realtà, queste persone, ovviamente in possesso di un titolo di studio adeguato, hanno il compito di inserire gli input giusti per consentire al programma di lavorare al suo top. In soldoni, è gente pagata per far funzionare l'IA. Roba da programmatori di alto livello, dunque, un lavoro per eletti. Nel nostro piccolo, noi, comuni mortali, attuali fruitori di tale meraviglia tecnologica, ci accontentiamo di provare a spiegare all’ IA cosa vogliamo fare, come meglio ci riesce, scoprendo così che, in certi casi, come ho detto sopra, impieghiamo meno tempo a farlo manualmente. 


Vogliamo scrivere un articolo, un racconto, un romanzo? Possibilissimo ma… va bene se siamo illustri sconosciuti che non hanno ancora pubblicato nulla e di cui non è noto lo stile di scrittura. Viceversa, non è difficile distinguere un testo scritto da un umano da quello partorito da un cervello che funziona a bit. E qui ti voglio! 


L’ IA va istruita a scrivere con lo stile abituale dello scrittore, che significa insegnare al software a usare parole, verbi, espressioni, fraseggio, periodi, eccetera, tipici dell’ autore. Mica pizza e fichi! Un allenamento del genere può durare mesi. Vero, tuttavia, è che alla fine ci si può anche permettere di lasciar fare tutto alla macchina e godere dell’ esito finale. Ma dopo parecchio tempo, massiccio impiego di energie e pazienza messa a dura prova. Parola di chi ci sta provando. 


mercoledì 1 aprile 2020

SIAMO IN QUARANTENA




Premessa: chi leggerà questo mio post avrà l' impressione che io ripeta ciò che ho già scritto in un mio posto precedente, collocato poco più giù, intitolato: SMART WORKING.

Vero, ma solo in parte.
In realtà, dico anche altro.
Se volete leggere ....


Eccoci.
E’ trascorso circa un mese da quando, per decreto del Governo, gli Italiani sono stati letteralmente segregati fra le mura domestiche al fine di contrastare il maledetto Coronavirus che sta mietendo un po’ di vittime in giro per il mondo.

A parte il fatto che altre precedenti epidemie hanno provocato danni e morti maggiori di quella attuale, confermando, se fosse stato necessario, l’ ignoranza dei miei compatrioti in Storia, il punto sta nello spaesamento che gli abitanti dello Stivale stanno vivendo in queste settimane, percepibile, in particolare, nel disagio del non poter quasi uscire di casa se non equipaggiati per affrontare lo sbarco in un pianeta alieno. A ciò si aggiunge l’emersione del peggio di sé fra le mura domestiche a causa della scoperta improvvisa degli altri i quali, fino a qualche giorno fa, erano solo apparizioni fugaci fra un impegno di lavoro e uscite per diletto, recando il minimo sindacale di fastidio. Intendiamoci: non è (stato) cosi per tutti. Anzi!

Alcuni hanno dichiarato, invece, di aver ritrovato amicizie, affetti ed amori, relegati prima a semplici comparse, vaganti in casa come fantasmi. Insomma: come molte sciagure, il Coronavirus non è arrivato solo per nuocere.

Ciò che, al contrario, sta sconcertando gli Italiani è la nuova (per l’Italia) modalità di lavorare in remoto, a distanza, via telematica o come ci piace definirla, che, silenziosamente, tuttavia con decisione, sta dilagando nel Paese. Qualcuno ci si sta abituando con una certa disinvoltura, altri annaspano come se stessero annegando. L’ostacolo più grosso che molti incontrano nel mettere in pratica questo modo di operare risiede nei pagamenti. Versare, o trasferire denaro via web, sembra Mission: impossible. La realtà è che se questo sistema fosse stato introdotto e spalmato con calma nel mondo del lavoro adesso non saremmo nelle condizioni in cui invece ci troviamo. Però, non tutto è andato male, anzi ! In alcuni settori questa modalità è entrata in funzione abbastanza celermente ed ora un certo numero di attività economiche lavorano in remoto con destrezza.

La domanda fatidica è: questa bella e comoda innovazione resisterà, finita l’emergenza pandemia? Torneremo alla vecchia modalità? Il lavoro telematico poneva un dubbio esistenziale nel vero significato del termine ovvero: come lavorare a casa in solitudine, senza il calore di un rapporto umano vis-à-vis, guardandosi negli occhi, conoscendo bene il carattere espansivo degli Italiani?

Ma la comunicazione in rete contempla la chance delle videochiamate che consentono ai due interlocutori di guardarsi, sebbene attraverso un display, spesso piccolo come quello dei telefoni. Tuttavia, qualcuno osserva, non a torto, che non è la stessa cosa del vedersi in faccia. Però, ora, in piena pandemia Coronavirus, questo piacere ci è stato comunque negato per evitare l’espandersi del contagio ergo, che ci lamentiamo a fare? Rassegnamoci per ora, e usiamo questa modalità apprezzando l’ assenza dell’ obbligo di farci belli per mostrarci al nostro prossimo, assenza che però, dati gli strani effetti dell’ immagine virtuale, potrebbe anche provocare guasti irreparabili nelle relazioni con i nostri simili non conosciuti prima dal vivo.

Nel mio precedente pensiero avevo accennato all’ impossibilità oggettiva e concreta di esercitare questo modus operandi in alcuni tipi di lavoro. Se si tolgono i lavori prettamente manuali o di particolari casi di assistenza a persone (non cito la medicina poiché anche questa può essere praticata a distanza), l’intero dipartimento burocratico può essere benissimo trasferito a domicilio con grande beneficio dell’ambiente che viene ripulito dall’ inquinamento provocato dagli intensi movimenti dei mezzi di trasporto piccoli e grandi, nonché dall’ uso massiccio di apparecchi per la termoregolazione della temperatura.

E l’insegnamento? Anche la didattica può essere svolta a distanza. In alcuni Paesi del mondo è già attuata ma, a questo proposito, si riscontra una curiosità: la materia più difficile da insegnare a distanza è proprio l’informatica che sta alla base di questo grande rinnovamento del lavoro, essendo una materia che necessita di molte dimostrazioni visive. Insegnare informatica a distanza non è impossibile, tuttavia l’applicazione della didattica è risultata un filino complessa. Per spiegare come funziona, e come usare un computer, bisogna procedere con continue fotografie delle schermate che illustrano le varie fasi dell’ operazione da eseguire. Non è difficile, ma è un po’ … macchinoso!

Al di là di tutte le implicazioni che il telelavoro porterà , un altro quesito esistenziale aleggia sulle nostre teste, specie quelle italiane: ci sarà ancora lavoro? Le misure anti-espansione di contagio virus hanno costretto molti esercizi a chiudere i battenti per tutto il periodo della “quarantena”, sottraendo ai gestori i già magri incassi entranti prima dell’ epidemia, ma poi? Se la chiusura forzata dei negozi – e di altre attività – dovesse protrarsi per mesi? Non tutti riapriranno, quindi, ai morti per virus si aggiungeranno quelli che forse moriranno per mano propria, svuotati di ogni speranza di poter proseguire con un’esistenza se non altro dignitosa, sostenuta dal minimo che permetta di vivere. E questi ultimi non saranno meno di coloro che lasciano, hanno lasciato e lasceranno questo mondo, colpiti dal Coronavirus. Il Governo ha promesso misure per contrastare la povertà.
Vedremo.
Speriamo.
Alla prossima.


venerdì 12 luglio 2013

Capricci tecnologici

Prima bizzarria aliena che caratterizza la nascita di questo mio piccolo blog. Avrei voluto dargli un altro titolo, leggermente diverso da quello che leggete in alto ma, nossignore!! Il programma mi dava l'okay solo alla digitazione della "i" finale e non a tutto il titolo, ergo ho deciso di lasciare IPERSPAZI che, in fondo, non è poi tanto male. Iperspazi, al plurale, sottintende, nell'immaginazione, l'esistenza di più di un universo, quindi più di un iperspazio, pertanto, forse suona più fantasioso che un iperspazio, per giunta datato. A volte, senza volerlo, non ubbidendo alla tua volontà, la tecnologia ti fornisce soluzioni alternative migliori delle tue intenzioni primarie. A volte!
In ultimo, il termine Iperspazi può essere interpretato letteralmente, assegnando al titolo del blog il significato intrinseco di spazi oltremodo grandi in cui la mente può viaggiare comoda, comoda.
E anche stasera ho sfornato la mia riflessione.
A presto.